lunedì 26 agosto 2019

Monologo #1


[entra in scena tra gli applausi del centinaio di persone presenti in sala. Barcolla vistosamente mentre avanza, resta in equilibrio reggendosi alla sedia che campeggia in mezzo al palco. Rimane lì, in piedi, una mano sullo schienale, con l’altra regge il microfono] Ed eccoci qua anche stanotte. Almeno io mi ci guadagno da vivere, se questa trappola si può chiamare vita, ma voi non avevate un cazzo di meglio da fare? Una bella e sana scopata no, eh? O anche malsana, che nella gloriosa era di tinder un herpes genitale non si nega più a nessuno. [fingendo di sussurrare, in modo da essere sentito] Razza di coglioni…
A guardarvi bene avete proprio la faccia di quelli che scopano un sabato sera al mese e devono guardarsi un video porno per farselo rizzare. O farsela lubrificare, a essere precisi e didascalici e politicamente corretti. Perché io ci credo veramente nelle pari opportunità. Ci credo, eccome. Ogni donna a portata d’uccello dovrebbe avere pari opportunità d’essere scopata. Ma non ci distraiamo. Vi ci vedo, tutti presi nella canonica scopata mensile, finalmente a portata di tiro una botta di vita che quando riemergete dall’eiaculazione dovreste correre ad accendere i fuochi d’artificio in giardino neanche fosse la festa patronale. [pausa di silenzio]
E nell’istante successivo, proprio mentre precipitate rabbrividendo a schiantarvi nella banchisa artica della depressione post coito, realizzate che gli attori nel video continuano a sbattersi allegramente mugolando in un bel frullatore di carne tonica e sudata che sobbalza. Perché durano più di tre minuti, loro. Li pagano per questo. Mai a sufficienza, va detto, ma almeno li pagano. Voi invece vi sconfortate gratis per tre minuti di cazzo ritto.
Oh, a scanso di equivoci, mica c’è qualcosa di male a scopare una volta al mese. Io, ad esempio, signore e signori, non mi vergogno di proclamare in questa sede, pubblicamente, che scopo una volta l’anno. [pausa di silenzio, guardando perplesso il pubblico. Poi si gratta l’inguine. Riprende a parlare con voce bassa, cavernosa]. Certo. Scopo vostra madre una volta l’anno. Vostra sorella, se siete orfani. O magari la vostra donna, se siete figli unici. O invece vostra moglie, se vi siete uniti nel sacro vincolo perché infoiati avete avuto la bella pensata di tentare la sorte, e nove mesi dopo si scopre che il tempismo nella ritirata non è proprio il vostro forte. [tornando al tono di voce abituale] Le nozze riparatorie. Ma sì, è un bel premio di consolazione, non è vero? Una fisiologica riproduzione assicura a voi poveri coglioni l’illusione di esservi allungati la scadenza mortale. Come se bastasse scrivere col pennarello una nuova data sul vasetto di yogurt già ammuffito in frigo. Intanto io ho vinto un terno al lotto e grazie alla vostra foga riproduttiva ora mi scopo una succulenta milf in piena depressione post-parto. Sono le mie preferite. Quando non affogano i figli in fasce se ne stanno lì catatoniche a farsi infilzare su per ogni pertugio. Adorabili.
[Una voce isolata protesta in modo incomprensibile. Un’altra voce femminile urla “vergognati] Mi sto burlando di voi, oh, non vi incazzate. [ride] Non dovete mai prendermi sul serio, sono un comico serio, io. E poi, dico, non scherziamo, figuratevi se scoperei mai quelle distopie viventi che vi hanno generato o con le quali copulate per impulso animale oppure per noia o per disperazione oppure perché ogni tanto dovete mettere in scena la vostra mesta rappresentazione di coppia normale.
Noi artisti, specie noi grandi artisti, mica siamo come voi. Non viviamo come voi. Noi ci accoppiamo solo con modelle anoressiche e ninfomani. Loro sì che sono pronte a qualsiasi acrobazia circense pur di avere la nostra mano provvidenziale a disposizione quando sono così strafatte da non riuscire più neppure a ficcarsi un dito in gola, e allora usano il mio, lo stesso dito che hanno appena conosciuto su per il buco del culo, un dito in gola ogni volta che pensano di aver mangiato un pop corn di troppo per la loro stitica dieta. Cioè due.
Come valida alternativa, mi scopo puttane da mille a botta quale minimo sindacale, e quello delle puttane con la coscienza di classe è l’unico sindacato che merita rispetto. Se il marxismo avesse affidato alle puttane anziché a quei crumiri della classe operaia il compito di fare un cazzo di rivoluzione a quest’ora vivremmo tutti in un favoloso parco giochi comunista. Una società di uguali, finalmente, in cui ciascuno si lascia scopare secondo le proprie capacità e scopa secondo i propri bisogni. Perché le puttane sanno bene cos’è il plusvalore. Riescono anche quantificarlo a menadito, visto che qualche volta se lo lavorano con la bocca, o se lo ritrovano ficcato direttamente su per il culo.
Se proprio sono alla frutta mi scopo attrici disperate a caccia d’ingaggi. Mi basta persuaderle che sono culo e camicia con un carissimo amico produttore che invece mi ha già bloccato da mesi sui social e se provo a telefonargli mi fa minacciare da un suo biscugino malavitoso. Solo perché ho vomitato nella sua vasca idromassaggio. Vero che c’era lui dentro. Con tre attricette cui stava facendo a turno dei provini subacquei di resistenza in apnea.
Però scoparsi un’attrice è un’esperienza senza prezzo. Ti modulano delle simulazioni d’orgasmo che sembrano una Meg Rayan di Harry ti presento Sally trafitta da un rabbit in modalità avanti tutta. E se non sapete cos’è il rabbit stasera, tornando a casa, invece di fare una carezza al vostro bambino e dirgli che è la carezza di uno strano personaggio con un cappello buffo in testa che ogni tanto parla col suo amico immaginario in cielo, ecco, stasera concedetevi una cosa buona e giusta. Andate su un sito di commercio di porcherie online invece di masturbarvi come al solito pensando a come potreste usarli, compratene uno e regalatelo alla vostra donna. Per una volta in un’esistenza sacrificata sull’altare della vostra nullità, donate un po’ di piacere terreno a quella poveretta. Vi bastano solo una carta di credito e quel trabiccolo magico. Assaporatevelo, quel momento. Quell’acquisto online sarà l’apice della vostra intera vita sessuale. E della sua.
Ma potete anche ficcarvelo su per il culo quel rabbit, se vi piace il genere. Sempre meglio il coniglietto vibrante di quelle zucchine che rimettete in frigo subito dopo per non farvi accorgere della vostra inclinazione retroversa e poi vi ritrovate lessate nel piatto il giorno dopo. E nel piatto dei vostri figli. E guardate i vostri figli mentre le mangiano. E se fanno i capricci perché le zucchine lesse fanno schifo a tutti i bambini sani di mente del mondo li prendete a schiaffi perché se le ficchino giù per la gola. Proprio come voi ve le siete infilate su per il culo la sera prima. Che poi se qualcuno vi avesse schiaffeggiato come fate con loro avreste goduto persino di più. E questo pensiero vi eccita pure un po’. Miserabili che siete. [ridendo] Finirete per starmi simpatici.
Voi non meritate nulla. Non meritate neppure me, che pure sono la merda più abietta della terra. Sono merda concentrata, innalzata al cubo, purissimo distillato di merda invecchiata in botti di rovere, sono la merda prodotta da una creatura che si nutre solo della merda di altre creature che mangiano esclusivamente merda. E potrei anche risalire lungo la catena alimentare della merda. Però mi fate tanta pena, perché credete di redimervi con l’amore. [con voce più acuta] Oh sì, innamoriamoci. Pensateci un po’, tutto sembra trasformarsi d’incanto in un mondo rose e fiori, giusto? Chi se ne fotte se sono rose e fiori di Chernobyl, deformi, geneticamente modificati. Commuovetevi con le canzoni melense che tutti cantano senza capire un cazzo di significato perché mica fate lo sforzo di connettere una sillaba con l’altra, diononvoglia vi sia tolto il diploma di specializzazione in analfabetismo di ritorno. Prendiamoci mano nella mano mentre guardandoci negli occhi ci facciamo un selfie al tramonto sul mare e trasformiamo la nostra vita nella brutta copia della sceneggiatura d’una cazzo di commedia romantica. Magari scritta da quattro sceneggiatori cocainomani che per pagarsi qualche dose hanno tradotto con google translate copioni coreani trovati su internet. E sapete cosa mangiano i coreani, vero? Rischiate di suggellare il vostro amore cucinando un innocente cagnolino in una cenetta romantica che ha come colonna sonora Gagnam style.
Quanti sono quelli innamorati qua dentro? [nessuno fiata in sala] Silenzio di tomba. Non abbiate timore, ho forse la faccia di uno che di diverte a insolentire il prossimo suo? Mai e poi mai, ci crediate o no. Neppure reagisco quando mi pestano, e succede spesso. Sono un tipo che prende sul serio il vangelo io. Porgo l’altra guancia. Sempre, quando sono dal barbiere.
Ma no, cari coglioni, state tranquilli. Ve le porgo io tante buone ragioni per non innamorarvi. Su, da bravi. Mi prendo cura io di voi, adesso, non abbiate timori. Non ho doppi fini. Ho solo doppi sensi. Nessuno più di me al mondo ha a cuore la vostra sopravvivenza serena per quanto miserabile in questa valle di lacrime travestita da società dei consumi. Chi cazzo è quel minorato che si compra il biglietto di questo spettacolo, affronta gelo e pioggia di una notte come questa per venire a farsi insolentire da una sottospecie di merda impasticcata come me. Andate preservati come i panda, voi. Vi imbocco io di germogli di bambù. O magari di funghi, quelli giusti. Chi se non una massa di panda sotto peyote caccerebbe fuori i soldi per la beneficenza con cui mantengo tante famiglie bisognose. Tutte quelle delle bagasce da mille a notte. Da non crederci. Hanno tutte, ma proprio tutte, almeno un figlioletto concepito quando erano ingenue e minorenni o ora lo devono mantenere tra gli stenti in un college svizzero. Dove è vittima di abusi sessuali praticati ogni giorno, esattamente alla stessa ora, con la precisione di un cronografo.
Dunque, proverò ad applicare la forza del ragionamento per contrastare la sovversione di pensiero generata da quei moti dell’animo stereotipati e irrazionali che chiamerò, scusatemi a volgarità, innamoramento.
Andiamo con ordine. Altruismo. Quando sei innamorato te ne fotti dei destini del mondo e di chi lo popola, dei bimbi che muoiono di fame e del pianeta destinato a bollirsi come un uovo sodo. E se smetti di interessartene proprio tu, tu che ti fingi occupato al cellulare per ignorare la mano tesa del mendicante in strada, chi li preserva dalla morte per inedia quei poveri bimbi con le mosche negli occhi? Chi lo salva il globo terraqueo lessato dall’anidride carbonica se non tu, tu che useresti l’acqua calda anche per lo scarico dello sciacquone e quella oligominerale per lavarti il culo, se solo potessi?
Di più: libidine. Quando sei innamorato sei talmente concentrato sull’oggetto del tuo sentimento che tutti gli altri possibili canalizzatori di desiderio ti paiono inconsistenti controfigure di quel corpo che solo ha valore per te. E così sai quante scopate facili ti giochi?
Ancora: dignità. Quando sei innamorato ti senti sovreccitato e nella mente ti si accendono lampadine intermittenti come un albero di natale epilettico e pensi che tutto sia possibile, persino che Babbo Natale esista davvero e ti abbia portato in dono il partner dei tuoi sogni. Ma babbo natale è come dio, esiste solo nelle menti dei ritardati e dei bambini, e solo fino all’età di dieci anni scarsi.
Per chiudere in bellezza. Sofferenza. Se sei innamorato finirai per ricoprire poco a poco l’oggetto del tuo scompenso emotivo con una tua nervatura sensibile. E’ come se l’avvolgessimo coi nostri sensi quelle carni adorate. E poi uno nell’abiezione di questa colonizzazione corporea si trova come un’autentica testa di minchia ad accampare pretese sul suo utilizzo. Si sogna di avere diritto o peggio ancora dovere di esercitare controllo, possesso. E badate bene, seguitemi nel ragionamento, ammasso di panda coglioni strafatti di mescalina. Non si tratta di un gioco di potere, ma di un pietoso tentativo di salvezza. Perché vero è che le sofferenze di quel corpo venerato diventano anche le nostre, e se soffre sprofondiamo nel suo stesso dolore. Ma non vale l’opposto. Al contrario, il piacere di quelle membra che amiamo può trasformarsi nella nostra pena più intima e lancinante, se non siamo noi a generarlo. Il suo godimento provocato da altre mani o bocche o lingue o cazzi è una profanazione che subiamo con uno spasmo che parte dallo stomaco e poi trapassa al cuore. E’ un’intrusione come quella di un ladro nella nostra casa, e l’allarme doloroso vibra all’unisono in tutti quei nostri filamenti nervosi e risale fino alla nostra anima, e scopriamo di averla proprio nel momento in cui vorremmo solo disincarnarci e liberarcene per non sentire più nulla. Non abbiamo dato il nostro consenso a quel tocco, quella bocca, quel cazzo non li vogliamo su di noi, dentro di noi, fanno male, ci fanno torcere in uno strazio di immagini di desolata pornografia amatoriale in testa. Chiamatela gelosia, o come cazzo vi pare. E’ solo il dolore di uno stupro immateriale.



Monologo # 2


[Annunciato dal presentatore entra in scena tra pochi applausi esitanti, saltella qua e là sul palco per una decina di secondi, poi si ferma di colpo, si piega in due e rimane immobile per un attimo. Si rialza piano, affannato, per avvicinarsi al centro del palco, con la mano si aggrappa allo schienale di una sedia sulla quale è posato il microfono. Lo impugna ancora ansimante, scatarra rumorosamente e sputa in terra]
Merda, non ho più l’età per queste stronzate. Sembravo un cazzo di canguro epilettico. Ma che buco di culo di posto è questo? [scruta intorno strizzando gli occhi, accecato dalle luci di scena] In che borgo paese città o discarica di liquami tossici e scorie radioattive ci troviamo, esattamente? [una voce urla: ****]. Ah, ecco siamo a ****. Ora mi spiego quel tanfo di cadavere frollato quando sono sceso dall’auto. **** , la ridente località dove la lobotomia si associa alla circoncisione come pratica igienica raccomandata alla nascita. Entrambe ottimi rimedi artigianali contro la crescita delle teste di cazzo. Vorrei solo capire se le vostre facce sono frutto di mutazioni genetiche per l’irradiamento da isotopi d’uranio o derivano dall’accoppiamento tra consanguinei perseguito nel corso dei secoli come tradizione folklorica. La saggezza intrinseca del detto popolare vi fa corona, popolo di ****. Non c’è cosa più bella che trombarsi la sorella. Non c’è cosa più divina che trombar con la cugina. E’ un lusso d’alta gamma ingropparsi pure mamma. E’ una sana acrobazia fottere pure zia. E tirata su la gonna trombare anche la nonna.
Ma adesso è il momento della vostra redenzione, popolo d’incestuosi depravati. Mi faccio carico io di voi e della vostra condizione di dissesto umano, sociale, urbanistico. Tutto quello che vi occorre è una manifestazione internazionale che restituisca lustro a questa fogna a cielo aperto. Le olimpiadi no, è un passo più lungo della gamba, troppa corruzione di delegati del comitato olimpico internazionale da gestire, provinciali e miserabili come siete vi scoprirebbero subito mentre vi aggirate per le hall degli alberghi a nove stelle coi vostri salvadanari a porcellino.
Ma adocchiando le signore in sala ecco la mia intuizione, un’idea che definirei geniale se l’attributo di genialità non fosse ormai inflazionato. Ascoltatemi [si avvicina alla platea, come se parlasse in confidenza]: candidiamo **** a sede della prossima edizione del campionato mondiale di bukkake. Faccio parte del comitato organizzatore, so di cosa parlo. E non fingete di ignorare cos’è il bukkake. Somiglia al burraco, ma con più sperma. Con quelle occhiaie da segaioli acca24 che dai tempi di una precoce adolescenza trascorsa davanti allo schermo del computer scorrono scientificamente in rassegna tutte le categorie del porno il bukkake lo conoscete come le vostre tasche, quelle tasche bucate con perizia chirurgica per manipolarvi il batacchio in santa pace strofinandovi sugli autobus affollati. Su tutti i siti porno degni di questo nome il bukakke alfabeticamente viene subito dopo la “brutal turbo-dildo experience” e prima del filone messicano del “burrito in the ass. Semplifico: è quella pratica ginnico-acrobatica nel corso della quale un’estesa platea di maschietti copulando e strofinandosi dove capita e menandoselo a piene mani eiacula su un corpo, meglio ancora dentro una bocca estatica di femminuccia, accecandola e annegandola di secrezioni testicolari. Volete ospitare l’evento che attira i più generosi ricettacoli di seme del pianeta e una cospicua platea di pervertiti al seguito? Posso metterci una parola buona, basta pagare s’intende. Tirate fuori i vostri porcellini. O meglio ancora le porcelle, che i pagamenti in natura sono ben accetti, così come le principali carte di credito – esclusa American Express.
Che poi mi sarebbe venuta pure un’altra idea. Si fonda sul principio della fisica che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma soggiacendo alla legge di gravità, come dimostra il mio scroto nel quale ormai inciampo quando cammino senza mutande [finge di sbottonarsi i pantaloni] – qualche volontaria tra il pubblico per un rapido check-up? Bene, coi residui della pratica agonistica di bukakke si potrà fondare la più vasta e ben rifornita banca dello sperma al mondo. Orsù ,ci si armi di spatole, si puliscano i pavimenti e si riempiano provette e siringhe per una caritatevole fecondazione artificiale low cost. Che poi si unisce al gusto dell’azzardo: in quel meraviglioso brodo primordiale, anzi broda primordiale, chissà quali fantasmagoriche combinazioni genetiche potranno sprigionarsi. Impregnatevi in una slot machine fecondativa, la creatura può risultare caucasica nera bionda albina ermafrodita comunista liberaldemocratica con gli occhi a mandorla già circonciso o infibulata, futuro premio Nobel per la fisica o con serie difficoltà ad allacciarsi le scarpe senza aiuto a trent’anni. Già mi pare di vederli i cartelloni pubblicitari negli scali aeroportuali di tutto il globo: ****, la Svizzera dello sperma, l’Eldorado della sborra, meta prediletta di tutte le gentildonne intenzionate a farsi sborrare in faccia o ingravidare artificialmente. Magari entrambe le cose, se lo si gradisce anche in simultanea [una voce isolata protesta].
Ma che cazzo avete da lamentarvi? Non sono come quelle mezzeseghe dei miei colleghi che non sono ancora scesi dalla limousine e già dichiarano il loro amore perenne per le bellezze di qualsiasi tazza di cesso di luogo si trovino sbattuti giusto il tempo di pisciarci sopra l’obolo di qualche barzelletta riciclata. Me ne fottesse qualcosa di questa questa fossa settica dove avete avuto la sorte di impantanarvi a vita dopo averci depositato un figlio o due o tre o comunque il numero minimo che vi consente di vivere di rendita come parassiti grazie ai sussidi familiari. Anzi, sapete che vi dico? Per farmi perdonare della mia nefandezza verbale vi onorerò ancor più e meglio dei miei colleghi. Non mi limiterò a qualche repentino e distratto spruzzetto di piscio. Vi nobiliterò defecando generosamente su di voi tutto quel che mi ribolle nell’animo, un’odorosa, torrida, densa diarrea di parole. Allora continuiamo a parlare di merda, anzi approfondiamo l’argomento fecale, visto che sto iniziando a prenderci gusto. Parliamo d’amore.
Sono il primo a provare una genuina sorpresa. Proprio oggi, proprio qui a **** mi sono scoperto appiccicaticcio di benevolenza e sudore, pronto a espellere amore universale e gas intestinali, incredulo e traboccante di buoni sentimenti e catarro. Per questo, solo per questo entrando in scena mi sono messo a saltellare come un rospo allucinogeno, prima che il cuore con un’extrasistole ventricolare mi spedisse un preavviso di disdetta dal contratto di locazione. Il mio adorato spacciatore deve avermi smerciato i suoi avanzi di magazzino avariati. Oppure la merda anfetaminica che di solito rifila all’uscita delle scuole elementari per ringalluzzire gli scolaretti tossici. Maledetto avido sorcio di fogna. Lo adoro. Per lui m’immolerei su una pira infuocata come una cazzo di vedova indiana.
Tra tutte le apparizioni lisergiche generate da una mente sovrastimolata da sostanze psicotrope voglio concentrarmi stanotte sulla più inquietante. No, non la visione di dio, il vostro dio tutto sommato distante e relativamente innocuo per quanto onnipotente, tipo un capomafia per intenderci, almeno finché qualcuno dei suoi emissari non vi minaccia in nome suo di dannazione eterna se non rispettate i suoi dettami, cioè essenzialmente il primo e unico comandamento : pagare il pizzo. No, oggi guarderemo in faccia all’amore, sperando che il suo lampo accecante non ci trasformi in statue di sale come la moglie di Lot in fuga col culo in fiamme da Sodoma e dai sodomiti. [scruta tra il pubblico] Ma che sto a sprecare il fiato, che cazzo ne sapete voi della bibbia a parte le rimasticature rigurgitate delle prediche domenicali. In breve, i sodomiti sono gli inchiappettatori seriali dei bei tempi antichi, Sodoma la capitale Lgbt avanti Cristo, la città dove gli eterosessuali superstiti erano riconoscibili per la loro spiccata attitudine a muoversi guardinghi rasente i muri.
Bene, come un estetista cocainomane scruterò da vicino il volto impenetrabile dell’amore, quel dolce visetto adolescenziale. E dunque butterato da pustole, acne, punti neri, foruncoli. Voglio strizzare unghia contro unghia tutto quello che è possibile da quella pelle avariata, e che sebo e pus e sangue si spruzzino copiosamente su di voi. Amen.
Mi denuderò per voi facendomi domande sull’amore. Anzi, facendomi una sola domanda, l’unica che abbia senso e dignità. In quale angelico essere carnale potrebbe mai incarnarsi il mio indegno amore d’uomo? Quale creatura vivente potrebbe mai diventare asilo del mio sentimento tanto nobile e puro e del mio cazzo tanto ignobile e duro in ogni suo orifizio o cavità penetrabile, fisico o mentale che sia? Potrei chiederlo a voi, se solo la stolida espressione con cui mi state osservando non mi inducesse tanta pena quanta repulsione. Allora cercherò di usare metafore semplici, volerò basso, proprio come un uccello padulo, perché quella che ci serve è precisamente un amore ad altezza di culo.
L’amore somiglia a un attacco di emorroidi, quando ne siamo afflitti pare interminabile, ma di regola dopo un po’ si esaurisce. Avete presente le emorroidi? Quelle capsule soffici che si trovano proprio nel punto in cui il garbato bocciolo di rosa del vostro bucodiculo si affaccia speranzoso al mondo, quegli elastici globuli che normalmente incoraggiano la fuoriuscita dei residui tossici della merda che avete ingurgitato qualche ora prima sotto forma di hamburger di sorcio o di cazzo di verdurina biodinamica concimata con la merda del sorcio di cui sopra. Ecco, di tanto in tanto può capitare che a quelle innocue, garbate entità emorroidali si sostituisca una lama infuocata di katana infilzandosi come un’asta rovente su per il vostro culo, al punto da farvi sperimentare un’inaspettata sensazione di empatia con i polli da girarrosto. Se non vi è mai successo basta un briciolo di pazienza. L’emorroide, come l’amore, fa parte del corredo di sofferenze terrene prescritte dal dna umano per ricordarvi ogni giorno della vostra esistenza che dio esiste. E vi odia. Visto che non è sufficiente la rappresaglia di una castigo eterno per tenervi in riga in caso commettiate atti impuri o desideriate la donna d’altri, il boss divino ha addobbato la vostra vita col carico da novanta di malattie e afflizioni per potervi estorcere l’obolo di preghiera e moneta richiesto per glorificare le sue scadenti protezioni terrene.
Ecco, l’emorroide si affaccia inattesa e a tradimento, proprio come l’amore. Emorroidi e amore incendiano, mente o culo. Emorroidi e amore hanno gli stessi sintomi: smania, pensiero ossessivo e infiammazione. Sembrano eterni quando affliggono, ma poi i sintomi si attenuano. Si potrebbero persino curare nello stesso modo, con la Preparazione H ©, sacro unguento miracoloso: lubrificare per bene l’orifizio, praticare una fiammeggiante penetrazione anale e tutto passa, amore ed emorroidi. Fa un po’ male, anzi è lancinante come infilarsi un criceto cosparso di alcol e incendiato su per il culo, ma a qualcuno potrebbe persino piacere. Non al criceto, presumo. A meno che non fosse già intenzionato a immolarsi come un bonzo kamikaze nel vostro colon per protestare contro la vivisezione. Difficile da verificare, ad ogni modo.
Basta che non ci facciamo illusioni. Ogni amore è un amore infelice. Nessun innamorato vive per sempre felice e contento. Bene che vada, alla fine uno muore e l’altro resta vedovo straziato dal dolore, prostrato dalla solitudine. Sempre che non si opti per il suicidio simultaneo, o per l’omicidio-suicidio, comunque valide alternative alla crisi della coppia. Non è un caso se la più straordinaria storia d’amore mai concepita, quella di Giulietta e Romeo, prevede la dipartita quasi contemporanea dei due poveri cristi ancora impuberi. Altro che tragedia, è una benedizione questa. La vera sciagura sarebbe la sopravvivenza. Ultimo atto del dramma shackespiriano: i due fuggono a Portogruaro in un bilocale, presto iniziano gli screzi per questioni banali, come il colore delle tende del soggiorno o le polpette cucinate con troppo aglio, lui indispettito e frustrato per il calo del desiderio di lei inizia a tradirla con le amiche d’infanzia, ci prova persino con la balia in visita di cortesia, lei isterica inizia una guerra psicologica che culmina con lo sciopero del lavaggio dei panni sudati del calcetto del mercoledì sera, in un estremo tentativo di riappacificazione azzardano la procreazione ma le estenuanti esigenze quotidiane e le prolungate insonnie per la cura dell’infante che strilla come un indemoniato accentuano le tensioni, lei cerca sfogo alle frustrazioni trovandosi un amante più giovane e lui, che comincia ad avere seri problemi di impotenza dovuti alla frequentazione ossessiva di siti porno con conseguenti pratiche onanistiche compulsive, si rifugia nell’alcool, viene licenziato dalla fabbrica e si ammala di cirrosi, per fortuna prima che lo vinca l’insufficienza epatica ha almeno il buon gusto di decedere in un incidente stradale purtroppo in stato di ebbrezza così che l’assicurazione non risarcirà nulla, lasciando Giulietta da sola a ingozzarsi di cibo spazzatura con bulimica voracità, un figlio piccolo da crescere da sola – l’amante giovane si è eclissato istantaneamente alla notizia della prematura scomparsa di Romeo – e un bel po’ di rate di mutuo da pagare, vistose smagliature su cosce e glutei, spesse occhiaie violacee e seri sintomi di depressione clinica.

[con la voce in falsetto, imitando un’ipotetica Giulietta]
Buona notte, buona notte! Lasciarti è dolore così dolce che direi buona notte fino a giorno

Sì, buonanotte e fanculo, Romeo. Nessuno è felice, nessuno è contento. Romeo, il più fortunato, almeno si è tolto dai coglioni.

[con voce impostata da attore drammatico]
Questa mattina porta una pace che rattrista; nemmeno il sole mostrerà la sua faccia. Andiamo via da qui, a ragionare di questi dolorosi avvenimenti. Per alcuni sarà il perdono, per altri il castigo immediato: poiché mai storia fu più triste di quella di Giulietta e del suo Romeo disgraziatamente sopravvissuti a veleno e pugnale

Dice bene il Bardo, andiamo via da qui. Ma anche senza aspettare che il tristo mietitore faccia il suo dovere c’è un’altra ragione talmente ovvia dell’impossibilità logica di un amore felice che persino quel residuo di coscienza che ancora balugina dietro il vostro occhio intorpidito dalla deprivazione sensoriale delle consuete dodici ore quotidiane patetici tentatici di rimorchiare su tinder tra un filmato di gattini goffi e cagnolini teneri e l’altro dovrebbe consentirvi di coglierlo. Nessun altro essere umano potrà mai appagare lo straripante carico di tutte le nostre aspettative esistenziali, affettive e sentimentali. Sono troppe, sono troppe, sono troppe cazzo, aggrumate come una massa tumorale da quando siamo fuoriusciti da quella primordiale sacca di liquido amniotico dove già abbiamo iniziato a maturarle in stato embrionale: prenditi cura di me, nutrimi sempre, ninnami al tuo ritmo cardiaco, scaldami con la tua placenta amorosa, proteggimi dai mali del mondo, cullami al tuo passo ondeggiante, rincuorami sempre, dammi vita e conforto. Il nostro amore dovrà essere un assemblaggio destrutturato ma ricomposto in forma armoniosa di tutte le fantasie ed esperienze che si sono susseguite e intrecciate e stratificate come rocce sedimentarie nelle ere geologiche del nostro infinitesimo arco di vita. E’ per questo che diventa sempre più complicato innamorarsi quando si invecchia, quell’archetipo ogni giorno un po’ più sfaccettato tende inevitabilmente a distanziarsi dalle sue forme realizzabili in una carne che si corruga e suda e scoreggia.
Parlo da maschio eterosessuale, poi ognuno potrà costruirsi l’identikit della propria personale umana depravazione e deprivazione sentimentale. Nella figura mitologica che è l’incarnazione del mio amore dovrà esservi un po’ di mia madre, sicuramente la prodigiosa tetta che mi porgeva da neonato e gloriosamente azzannavo e che ho rimpianto da allora ogni giorno della mia esistenza, e la compagna di classe o di giochi – e chi se lo ricorda più – che per prima me l’ha fatta vedere in bagno ai tempi delle scuole elementari, e la magica pornoattrice sotto il cui vello inguinale nerissimo scoprii nella foto del giornaletto zozzo che esistevano, dio se esistevano!, tenere cavità femminili dentro le quali avrei potuto da quel momento avventurarmi e perdermi per l’eternità di un orgasmo che infatti giunse un istante dopo, e la ragazzina del primo bacio senza lingua al cinema e poi quella in discoteca del primo bacio con la lingua ruotata a mulinello che quasi mi procurò uno stiramento muscolare, e la commessa del supermercato dalla scollatura portentosa, e la vigilessa inflessibile e severa nell’impormi dopo un semaforo rosso bruciato il rigore della sanzione a norma di legge che putroppo non consisteva in una sculacciata sulle sue ginocchia, e un pezzetto di ogni esperienza sensuale e sessuale che ha ingioiellato e intorbidito il mio subconscio marcio di pelurie e cosce e vischiosità e seni ben capezzoluti e natiche globose e nuche e pieghe e labbra protese e umidi e muschiosi anfratti.
Per chi ancora non avesse capito di cosa sto parlando, cosa voglio da una donna, io? Prima di tutto, fanculo tutte le aspiranti regine, principesse e principessine. E chi la vuole una principessa di questa minchia, una somma cacacazzi che rompe le palletutta la notte perché sotto venti materassi e venti cuscini c’è nientepopodimeno che un pisello? La donna che potrei amare quel pisello deve volerselo cavalcare e succhiare tutta la notte, e di gusto, e poi risputarlo fuori solo per il gusto di succhiarlo di nuovo più a fondo. Ma chi se la incula una principessa affacciata come un tappeto da sbattere alla finestra della torre del castello, per quanto incularsela in quella posizione verrebbe pure facile, lì ad attendere sospirando un principe azzurro o cavaliere senza macchia e senza paura? Niente principesse per me, sbagliano indirizzo, sono costantemente terrorizzato dalla vita io, e i miei incubi non li affronto caricando lancia in resta, ma pisciandogli in faccia controvento, e poi ormai ho talmente tante macchie di sperma incrostate sul corpo, qua e là anche qualche chiazza di secrezione vaginale, dio le benedica, che somiglio a un fottutissimo quadro di Pollock da qualche milione di dollari all’asta di Sotheby’s, eppure valgo un cazzo io. La donna che posso amare non se ne deve stare rintanata nella sua merdosissima rocca ad opprimere contadini ed aspettare che la liberi da qualche incantesimo, è disposta a vendersi l’anima e a insudiciarsi lungo le strade più fetide e maleodoranti e malfamate di questa terra pur di giocarsi la possibilità su un milione di trovarmi, proprio come sto facendo io per lei, basta guardare in quale cloaca maxima mi trovo ora: ****, e senza neppure un bukkake in cartellone.
E poi la mia donna dev’essere una donna, visto che non riesco ancora a derogare alla mia perversa, granitica eterosessualità. Logica matematica assiomatica: come A è uguale ad A, una donna è uguale a una donna. Dio come mi eccitano le tautologie. Allora specifichiamo cos’è una donna. La definizione più pregnante che mi viene in mente è un parto apocrifo della congiunzione carnale tra la filosofia epicurea e la pubblicità di una caramella alla menta. Dicesi donna un buco con un po’ di carne attorno. Saggezza filosofica rivisitata in salsa popolare, con una formula ricavata da una scritta leggibile esclusivamente sulle porte dei cessi delle migliori stazioni di servizio d’Italia dove nove volte su dieci l’ho intagliata io, tra l’altro. Non che la condivida letteralmente questa bestialità. Una donna è molto più di un buco con un po’ di carne intorno. Minimo minimo sono tre buchi con un po’ di carne intorno, tanto per cominciare. Di sicuro tre sono i buchi che ho contato. E adoperato. E lubrificato quando madre natura non provvedeva autonomamente. E l’ho fatto in quanto uomo, ossia buco con un po’ di carne attorno, in piccola parte foggiata a mo’ di protuberanza cilindrica di alternante consistenza. Insomma, ci siamo capiti. Per chi avesse ancora dubbi posso offrire gratis lezioni di lubrificazione. A tutte le tri-traforate presenti, assicuro ben altro che quei cazzetti esitanti e approssimativi dei vostri scopamici – gesummaria che parola del cazzo vi siete inventati per descrivere l’escrescenza corporea di un cazzo. Sempre che riusciate a farmelo rassodare, che di questi tempi il mio si è fatto piuttosto schifiltoso. O forse è angosciato dal global warming.
Ma lasciamo perdere per un attimo il buco. Voglio sbalordirvi: per me conta parecchio la carne attorno. E allora il dilemma diventa: quanta carne? E’ una donna in carne, si dice. Stramaledetti ipocriti. E’ grassa, cazzo, quella donna è fottutamente grassa. Ma sono indulgente, la mia donna può pesare quanto le pare, che se la veda col suo metabolismo carogna o con le tentazioni da gola profonda, siano meringate e pompini, magari simultanei. Se la veda col diabete o l’osteoporosi o l’insufficienza cardiaca, cazzi suoi. Voi parlate di donne obese dove io vedo magnifiche masse lardose da manipolare, poppe colossali, culi dove una natica si rovescia nell’altra e poi tutte assieme si avvitano in una successione marina di onde rosacee che devi stare attento quando le sculacci perché se si agitano troppo poi tocca prendere la xamamina. Ho visto e conosciuto biblicamente donne talmente obese che gli interstizi dei rotoli sudati della pancia consentivano scopate – o dio solo sa come chiamarle – più gratificanti di quelle vaginali. Nella donna porcamente obesa si moltiplicano le opportunità di penetrazione e planare con l’uccello su quelle colline di polpa madida è come suonare uno xilofono, un colpo qua, uno là. Quindi non rompa il cazzo a contarsi le calorie, la mia donna amata potrà essere scheletrica così come mastodontica. Basta che me lo faccia rizzare sempre e nello scoparmi sappia catapultarmi il cervello e tutti i suoi pensieri del cazzo negli sprofondi più insondabili del creato.
Obesa, scarna, adiposa, corpulenta, me ne fottono due cazzi e mezzo. Ma ogni donna che incontro per farmi innamorare deve passare un test cruciale, di natura estetica, quello sì inesorabile, un giudizio freddo da esprimere con la stessa professionale e serena coscienza di un dottor Mengele durante la prima selezione alla discesa dai treni ad Auschwitz: niente di personale, ma se ti indirizzo da questo lato puoi continuare ad esistere ancora per un po’, dall’altro invece Aufwiedersehen [silenzio raggelato nella sala, non vola una mosca. Lui scoppia a ridere con aria soddisfatta] E con questo schifo di battuta ho vinto una scommessa con un amico ebreo che avrei avuto il fegato di scherzare sull’olocausto – nessuno ha precisato che dovessi far ridere. Ehi, cosa sono quelle facce, mica sono antisemita io, vi ho appena dimostrato il contrario: ho un amico ebreo. E riuscirò persino a togliergli qualche soldo di tasca, impresa quasi impossibile, si sa. No, proprio non so cosa sia il razzismo io. Una notte in un bar mi sono fatto perfino un amico nero, tra una bevuta e l’altra. Poi però ci siamo persi di vista, in strada era buio. Lo so, lo so, avere un amico nero non significa che non sei razzista. Eppure esiste chi lo dice e lo crede davvero: “non sono omofobo io, ho persino un amico frocio. E poi il mio parrucchiere è un po’ effeminato, eppure mi faccio massaggiare il cuoio capelluto. Però se scende con le mani verso il collo è un uomo morto”.
Vabbé, questa notte trasparenza integrale. Faccio coming out. In realtà sono un maledetto razzista. Però almeno razzista integrale e consapevole. Mi sta dolorosamente sul cazzo tutta la razza umana, senza eccezione alcuna, tutti gli uomini – le donne un po’ meno – di tutte le pigmentazioni cutanee e di tutti i credi e di tutte le preferenze sessuali esistenti. Odio il genere umano. O meglio, l’umanità intesa come massa indistinta, in senso astratto e ipotetico, potrei persino tollerarla. Gli riconosco enormi potenzialità d’amore e di solidarietà e di fratellanza e di tutte le cose buone e belle che renderebbero questo abominio di vita degna almeno di essere sopravvissuta. Quante occasioni sprecate, che grande potenziale inespresso. E’ la colpa è degli individui concreti, quelli in carne e ossa, sono loro che mi fanno veramente orrore. Con poche e sorprendenti eccezioni siete così deludenti, ottusi, ignoranti egocentrici, inutilmente crudeli prima ancora con voi stessi che con gli altri – basta guardare lo scorrere miserabile dei vostri giorni, uno dietro l’altro, finché finiscono e nessuno se ne accorge, neppure voi. Sono decine di millenni che i campioni della nostra razza si scannano voluttuosamente per depredarsi di un tozzo di pane o per dimostrare che il loro dio ce l’ha più grosso o per fottersi le donne altrui. Sì, sono razzista io, antropofobico per amor di precisione.
Ad ogni buon conto, da razzista conclamato, per prevenire inutili ed evitabili polemiche ci tengo qui a precisarlo pubblicamente. Mengele, il sadico medico torturatore delle SS, era una gran brutta persona. Forse persino peggiore di me. Ma dio mica l’ha punito per questo, è scampato alla caccia degli ebrei giustamente infastiditi dalla sua salvezza terrena e ha finito i suoi giorni in Sudamerica libero come una rockstar ritiratasi dalle scene dopo i trionfi di gioventù, a scoparsi le sue groupie, le vecchie fanatiche ex-kapò che si avventuravano nella foresta amazonica per idolatrarlo, circondato dai camerati nazionalsocialisti del cazzo a bersi litri birra bavarese intonando vecchi inni patriottici e canzoni di guerra. Questo valga per le circoncise teste di cazzo baciapile che credono nella giustizia divina. Ah già, ci sarà pur sempre il castigo ultraterreno…. Spiace deludervi. Fonti confidenziali – ho un amico prete esorcista culo e camicia con alti prelati del Vaticano, visto che non sono anticlericale? – mi dicono che Mengele ha fottuto il posto a San Pietro, adesso è lui ad accogliere i neo-deceduti, li aspetta allo sbarco in cielo per indirizzarli verso la destinazione finale: Inferno Purgatorio Paradiso. Praticamente come ad Auschwitz.
Ma sto divagando. Dov’ero rimasto? Già, l’estetica. Ma che cazzo, la mia donna non deve essere “bella dentro”. La vomitevole, menzognera retorica del “bello dentro”. Che me ne fotte di un pancreas incantevole? Ah, ho visto la tua ecografia, le pieghe armoniose del tuo intestino crasso mi hanno fatto girare la testa e rizzare il cazzo… Hai un esofago tanto sexy, amore, chissà come starebbe bene con i reggicalze… Fanculo la bellezza interiore. Bella di fuori la voglio la mia donna da amare, esteticamente gradevole e gradita incubatrice del mio desiderio di fotterla fino a venire io e svenire lei, o magari viceversa. E deve avere due belle tette. Tre sarebbero troppe. Una troppo poco, quindi astenersi mastectomizzate.
Potrei innamorarmi di una donna che non abbia paura di scappare da se stessa a rischio di perdersi, e lo faccia un milione di volte, ma ogni volta abbia forza e pazienza di raggiungersi e il coraggio di lasciarsi fuggire di nuovo. E che abbia voglia di farlo tenendomi per la mano o per il cazzo, visto che dove da soli ci si perde in due si va in esplorazione.
Ecco. Voglio una donna che stringa sempre la mia mano nella sua, anche quando sono madide di sudore o abbiamo le unghie sudicie. E nulla dovrà essere nascosto tra noi, specie quello che formicola nei recessi del cervello, tra le ombre più spesse della mente. Si punteranno fari e si accenderanno candele, ci si squarcerà il cuore se occorre, perché poi vinavil e ago e filo fanno miracoli, basta che ogni mio moto o increspatura d’animo le sia svelato, e i suoi a me.
Potrei innamorarmi di una donna kantiana, che riempia il suo animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente per tre cose, il cielo stellato sopra di noi e la legge morale in noi e il cazzo che protubera da me, e le veda davanti, specie il cazzo, e le connetta immediatamente con la coscienza della nostra esistenza. Non mi accontento che rimastichi un po’ di filosofia del liceo. Vorrei che sapesse innalzarsi sprofondando e inabissarsi elevandosi verso i cieli neri senza stelle che conteniamo, perché nel nostro universo morale non dovranno esistere alto e basso. Quelle categorie verticali valgono nella visione farisaica della vostra vita unidimensionale, la morale di chi si bea nel riconoscere e giudicare la cadute degli altri per non guardare alla dissipazione di materia ed energia che chiamano vita, a un’esistenza trascorsa abdicando da ogni responsabilità dopo aver delegato ai sacerdoti del dio cui pagano il pizzo o a qualche altro guru a gettone il verdetto su ciò che è bene o è male.
Potrei amare soltanto una donna intelligente, questo è poco ma sicuro. Anzi è tanto e insicuro, vista la rarità della merce. Abbastanza intelligente da stare alla larga dai test d’intelligenza e dai riconoscimenti sociali che vanno per la maggiore: “ma quant’è profondo, ma che mente raffinata, senti come parla e scrive difficile...”. Parla e scrive difficile perché è una testa di minchia che non ha nulla di significativo da comunicare, ammasso di idioti certificati che se facessero un campionato mondiale dell’idiozia arrivereste primi, visto che siete talmente idioti da non capire che i veri vincitori sono quelli che arrivano secondi; perché secondi? Perché sono più idioti di voi che invece avete stupidamente vinto la gara degli idioti, quindi moralmente siete secondi. Quindi in realtà forse siete voi i più idioti, alla fin fine. Cazzo, avevo sottovalutato la vostra idiozia. E comunque quella testa di rapa vi getta in faccia vocaboli astrusi e costruzioni linguistiche arzigogolate come una cortina fumogena per confondervi e rifuggire grazie al vostro sguardo bovino di ammirazione dalla consapevolezza della propria nullità. L’orrore, l’orrore delle parole che non significano niente ma nelle orecchie purtroppo prive di cerume – dio stramaledica i cotton fioc – ottenebrano i pensieri avvolgendoli in un involucro di nauseabondo zucchero filato di bei suoni.
No, la donna che potrei amare deve essere intelligente perché capace di innalzarsi dalla mediocre superficialità del vostro universo di pensiero, da questa umanità in media stupida in tante di quelle forme e modi che fa quasi male osservarle e riconoscerle, una povera umanità da pensiero debole, dominata da quei figuri che restano inesorabilmente coglioni anche quando esibiscono come un trofeo di caccia qualche volume pieno di rimasticature e riempiono le sale conferenze e gli studi televisivi incantando masse di decerebrati con sbrodolate di banalità, intrappolati per tutta l’imbarazzante durata della loro scoreggia purtroppo rumorosa di vita in quelle due coordinate spregevoli che sono l’io e il successo, e magari nel loro presente pensano di intravedere chissà quale destino dell’umanità. La mia donna da amare deve saper decifrare con me anche la stupidità nascosta del mondo e di troppi esseri umani che lo calpestano e quella stupidità disprezzarla con tutta se stessa, senza neppure bisogno di schifare gli uomini che ne sono untori o portatori sani, che a disprezzare loro basto io. Senza perdere tempo a cercare di cavare sangue dalle rape, perché alla fin fine, dopo tutti gli sforzi, se proprio va di lusso restano in mano una rapa spremuta e qualche goccia di sangue. Magari pure infetto. La temibile epatite della rapa che miete migliaia di vittime in Africa.
La mia donna da amare dovrà essere immune da questa pestilenza d’idiozia che ha infettato il genere umano e non conosce vaccini. Come nel proverbio cinese della luna e dello stolto, se alla mia donna indico la luna col dito, cazzo, lei deve guardare solo il dito. E umettarlo infilandoselo in bocca, e subito dopo su per la fica. Perché il dito è qui, è tangibile su questa terra, e in quel momento è lì soltanto per lei e per me, e ben ci serve per insinuarsi su e giù per i nostri pertugi gaudenti. La luna è soltanto uno stupido disco quasi sempre incompleto che riflette una luce che neppure le appartiene. La luna la lasciamo fissare agli innamorati coglioni che si sognano protagonisti di qualche sbrodolata di film romantico. Mille volte meglio un sano ditalino.
Deve essere logorroica la donna che potrei addirittura amare, deve stordirmi d’un turbine inesauribile di parole ponderose o spensierate per riempire con quei suoni carezzevoli anche quando feriscono i vuoti del mondo e coprire lo strepito della mia mente con le sue chiacchiere e farmi finalmente pace nella testa. Deve dirmi e darmi tutta la sua vita passata e presente, distillata in una corrente d’aria umida e torrida che dalla bocca mi trasmetta il suono trascendente della sua anima, incontaminata o verminosa che sia non m’importa, purché si accordi alla mia intonazione e riesca a comprendere quello che si nasconde dietro i miei balbettii e le mie oscenità e non mi faccia sentire mai più solo neppure dopo che mi avrà lasciato, se proprio deve. E che dopo avermi rintontito di frasi sensate sappia restarsene in silenzio devoto quando proprio non riesco a trattenere uno dei miei monologhi, rovesciandolo tutto su di lei. E non si spaventi e non si ritragga inorridita di fronte all’inferno che balugina in quanto le rigetto addosso. Perché comprende che in quella dannazione che ci ribolle dentro si nasconde il seme di ogni cambiamento concepibile, e non ha paura di scoprire la propria.
[imitando il tono di un prete dal pulpito] Dal vangelo secondo Giovanni : “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era DioPer forza io e quel dio proprio non ci capiamo, non riusciamo ad andare d’accordo. Solo il verbo all’infinito sa usare, sembra un fottutissimo Gioca Jouer: [imitando la musica del Gioca Jouer in sottofondo] Soffrire” “Pregare” “Espiare” “PagareCrepare”.
La donna che potrei riuscire ad amare dovrà essere migliore di quel dio illetterato. Non occorre molto, alla fin fine. Oltre al verbo coniugato sarà sufficiente che utilizzi con sufficiente proprietà di linguaggio qualche nome pronome preposizione congiunzione interiezione esclamazione avverbio aggettivo e complemento, e grazie a quelle parole tutto ciò che esiste nell’universo avrà in qualche modo a che fare con noi passando attraverso connessioni misteriose, e lei dovrà parlare e parlare e parlare fino allo stordimento e aiutarmi a riempire con le lettere del suo abbecedario infinito le caselle del cruciverba di questo cazzo di settimana enigmistica che è il nostro esistere quotidiano. Se poi sbaglia un congiuntivo, passi. Due, vada affanculo.
Altrimenti, sono finito. Altrimenti… [con voce impostata da attore shackespiriano] la mia vita resterà una storia narrata da un idiota, piena di rumore e strepito, che non significa niente:

There would have been a time for such a word.
To-morrow, and to-morrow, and to-morrow,
Creeps in this petty pace from day to day
To the last syllable of recorded time,
And all our yesterdays have lighted fools
The way to dusty death. Out, out, brief candle!
Life's but a walking shadow, a poor player
That struts and frets his hour upon the stage
And then is heard no more: it is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury,
Signifying nothing.

E’ Macbeth, razza di caproni respinti in prima elementare, e sto parlando della scuola delle capre. Per la prima volta in vita mia mi sento sprecato per qualcuno, e quel qualcuno siete voi. Mi contento di non essere sprecato per lei, la donna che potrei amare. Quasi dimenticavo: la gradirei sempre disponibile a scopare o se preferite la mistificazione linguistica a fare l’amore, con la capacità metafisica di donarmi un click all’interruttore della coscienza. Deve volermi scopare fino alla morte perché voglio morire felice, e magari anche da morto – dio benedica il rigor mortis – perché così voglio essere ricordato da lei e dal mondo: rigoroso e arrapato. Deve volermi scopare sempre, in ogni momento del giorno e della notte, mattino pomeriggio sera crepuscolo e aurora. Al minimo segnale di desiderio fisico o mentale, che sia turgido o meno il mio generoso membro virile, dovrà essere a disposizione. Non certo perché infilzarsi col mio cazzo le sia indifferente, ma perché sa fare tesoro del miracolo terreno di quel desiderio che lo fa innalzare imperioso o avventurarsi barzotto nel mondo, e questo basta divinamente ad accendere la sua passione che si trasmette alla mia e la amplifica, come due specchi che riflettono a vicenda possono generare l’illusione di uno spazio infinito, oltre a permettere una visione ravvicinata dell’amplesso che è pur sempre onorevole pornografia amatoriale gratuita. Almeno finché quegli specchi non si rompono, forse quando ci diamo dentro con troppa energia, e allora saranno sette più sette uguale quattordici anni di guai. Ma che me ne fotte a me: tra quattordici anni è probabile e auspicabile che sia trapassato, spero felicemente scopando.
Potrei amare una donna che mi accetti e mi voglia non soltanto per la merda rimasticata e ridefecata che sono, ma anche per la meraviglia d’essere umano che non potrò mai essere, che non voglio essere, che probabilmente mi farebbe orrore essere. Di più. La donna che potrei incredibilmente amare dovrebbe amare anche la mia merda, come io amerei la sua.
Deve mandarmi fuori giri questa donna potente e inconcepibile, pigiare forte sul piede della mia frizione emotiva con l’acceleratore al massimo e farmi rombare dentro fino a fondere cervello e motore. Deve proprio guidare a cazzo, insomma.
Ecco, importantissimo. La donna che sarei capace di amare deve saper programmare tutto per rassicurare il mio intimo caos, ogni istante e contingenza di vita, lasciandomi però la libertà di cambiare tutto all’ultimo istante, totalmente a cazzo, perché non c’è niente di più salutare ed esaltante che organizzare in modo razionale la propria intima anarchia.
Non deve soffrire d’insonnia la mia donna, voglio che mi lasci solo a rigirarmi nel letto o in casa in quelle notti eterne in cui tutto è sospeso e respiri a pieni polmoni quella verità e quella pace solitaria che nessuno schifo di giornata affollata di suoni e gente potrà mai regalarti. Così potrò ascoltarla mentre ronfa beata, se ronfa, e se mi rompe il cazzo magari riscuoterla dolcemente strofinandole il cazzo sulla bocca socchiusa. E se avverto un bisogno di solidarietà e comprensione emotiva potrò scoparla tutta la notte. Ancora meglio se si addormenta estenuata tra le mie braccia, che a me la donna letargica ogni tanto fa sangue.
Deve ridere la donna che potrei amare. Deve ridere tantissimo e di gusto, esclusivamente per tre cose, quelle giuste, follia ottusità e crudeltà del mondo. Di tanto in tanto potrebbe anche ridere mentre me lo prende in bocca, che di vibrazioni e sussulti si nutrono l’animo e il cazzo mio. Basta che non rida per le dimensioni del cazzo. Di quelle del cazzo degli altri uomini, lecito. Non è incoraggiato, ma tollerato. Ma che non pronunci mai la drammatica formula delle dimensioni che non contano, perché i sottotitoli urlerebbero che ce l’ho piccolo. Perché possa amarla deve convincermi che ho il cazzo più lungo e grosso che abbia mai visto. E io farò finta di crederle.
Trovatemi una donna che non mi annoi mai. E’ prevista una ricompensa. Potrà utilizzare parole magiche, trucchi da illusionista, cantare l’inno nazionale coi rutti, regalarmi fragorose scuregge vaginali mentre scopiamo, decida lei. Bramo da amare una donna che non cerchi di sprofondarmi nel fastidio condiviso dei suoi luoghi comuni. Che mi diverta divertendosi con me.
E deve cantare questa donna impossibile, deve cantare tutti i giorni a pieni polmoni per vincere l’angoscia e soffocare la tristezza e per raccontare l’euforia, appena sveglia e mentre guida l’auto, e intonare piano nel mio orecchio le canzoni che abbiamo ascoltato assieme, cantare in coro con me o da sola perché ho dimenticato come al solito le parole. Sarà il mio karaoke vivente. Se invece è stonata, fanculo e zitta, canto solo io mugolando perché non mi ricordo il testo.
La donna che potrei amare dovrà avere la pelle morbida e setosa, con un odore speziato, perché la sua pelle sarà la mia. Metaforicamente e carnalmente, non nel senso che la scuoio e me la indosso come un soprabito, per quanto Hannibal the Cannibal sia stato ingiustamente demonizzato, in fondo era solo un romantico incompreso. E poi sentiva l’odore di fica a distanza, proprio come me.
La donna che potrei persino amare non deve avere paura di smettere d’amarmi se mai dovesse accadere. Senza mentire a me e soprattutto a se stessa, quando sarà il momento che sia capace di dissezionarmi chirurgicamente l’aorta e di squarciarmi i ventricoli. Andarsene senza esitazioni e senza voltarsi indietro, che non tenti di addolcire con un’elemosina di pietà la cicuta che berrò con socratico disprezzo di questa vita indegna. Vabbé, se proprio insiste vada per una scopata ogni tanto, in memoria dei bei tempi andati.
Da ultimo, e si tratta forse del più importante di ogni altro requisito: la donna che potrei amare deve essere capace di pisciare ovunque, per la pura gioia di farlo specie se scappa forte, e fottersene del giudizio della gente che ci potrebbe vedere. Giù le brache e via. Perché su questo mondo cannibale e sui suoi giudizi noi ci pisciamo sopra, che altro non meritano.