Uno sfortunato astice
ebbe a spezzarsi una chela,
la riattaccò col mastice
ma dovette subire una sequela
di commenti di crostacei altezzosi
che con la loro aria un po’ snobistica
lo schernirono sussiegosi:
“Ah, così ti sei fatto la plastica…”
ebbe a spezzarsi una chela,
la riattaccò col mastice
ma dovette subire una sequela
di commenti di crostacei altezzosi
che con la loro aria un po’ snobistica
lo schernirono sussiegosi:
“Ah, così ti sei fatto la plastica…”
Il bisonte da sempre scorrazzava
nella grande prateria
finché un giorno scorse del fumo.
Era la ferrovia.
Il bisonte squadrò il treno
che era un punto all’orizzonte,
poi quando rialzò lo sguardo
aveva un fucile in fronte.
Il bisonte colse in quell’istante
il principio di relatività:
per quanto sembri immobile
lo spazio-tempo è in movimento
e la tua effettiva velocità
non dipende da quanto corri
ma dal sistema di riferimento.
L'attimo dopo era quasi estinto.
chi la precede, senza guardare a niente
che non sia l’appendice posteriore
del suo immediato predecessore.
In tutta quella cieca processione
il capofila è Duce e conduttore
che guida gli altri al pari di se stesso.
Potrà dunque accadere, anzi è già successo
che le processionarie, seguendo esso,
si ritrovino a milioni dentro a un cesso.
Dopo aver serenamente passato
l’intera sua vita inosservato
un brutto giorno, mentre è lì che nuota,
d'un tratto si scopre pesce pilota.
Non è affatto chiaro chi l’abbia scelto
ma di sicuro non è stato eletto,
però in questo modo è stato colto
di sorpresa, e così l'han costretto.
In migliaia ne spiano ogni mossa,
svolta, deviazione o scostamento
e ovunque si giri c’è riflessa
copia del suo attuale movimento.
In questo modo ogni suo intendimento
subito si fa azione collettiva,
se per caso rilascia un escremento
l’onda nera giunge fino a riva.
Se ormai convive con il suo potere
una cosa ne acutizza il dispiacere:
è che appartandosi con la fidanzata
l’incontro si trasformi in ammucchiata.
E’ un incoercibile moto interiore
che subito avvolge d’un umore scuro
tutto attorno a sé, d’improvviso scoppia
con un repentino sussulto al cuore
che di nero inchiostra l’acqua del mare.
Accade quando la ritrosa seppia
per caso incrocia il suo segreto amore
oppure un creditore.
No, nessun essere vivente osa
cingere intimamente come la piovra
che s’avvinghia trepida al suo amore
bocca su bocca, ventosa su ventosa,
con un ardore che non si può placare
per un amplesso multitentacolare
in una stretta che sembra non cessare
con una foga che dà di che pensare
che in effetti non si sanno più staccare…
La formica lavora
per tutto quanto il giorno
e quando arriva sera
ancor non fa ritorno.
Trasporta enormi pesi
e non si lagna mai,
fatica mesi e mesi
nutrendo formicai.
Avanza in lunga fila
e di chi la precede
conosce solo il culo
e quello che produce.
La fila la conduce
e lei la lascia fare,
nel camminare tace
perché non sa parlare.
Tutto il suo sfacchinare
va a onor della regina,
il giorno ha da passare:
la notte è più vicina.
La formica magari
non ha un grand’intelletto,
ma il tempo per pensare
certo non le fa difetto.
Sarà pure paziente,
ma nel lavorio costante,
nell’antenna vibrante
un assillo è evidente.
Mai un moto di stizza
com’è della sua razza,
però appena realizza
vedrai come s’incazza.
Ricordi quando nei boschi del Missouri
cantavamo a squarciagola 'Ciuri ciuri'
finché un orso molestato nel letargo
ci inseguì a lungo - e tu urlavi AAARGH!?
E quella volta alle cascate del Niagara
quanta gente c'era, e io ti pregavo "Cara,
non spingere per favore che mi sento
in bilico sulla ringhiera" - ma tu hai spinto?
E quel giorno sul Gran Canyon in picchiata
dentro quell'aereo col pilota addormentato
perché premurosa per lenire la sua gola secca
gli offristi sonnifero sbagliando la pasticca?
Ah, mia cara, quanti ricordi abbiamo
quante avventure, e mi pare strano
a ripensarci, che siano inventate.
Eppure è così, e queste rime baciate
non cantano d'un banale passato
ma di quel che avrebbe potuto esser, e non è stato
[il comico viene annunciato, ma non entra in scena nonostante l'applauso prolungato, che lentamente si smorza. Passano alcuni secondi, in un silenzio imbarazzato. A questo punto il comico appare barcollante e curvo su se stresso; l'applauso timidamente riprende, ma lui lo zittisce con gesti scomposti]
Cosa avete da applaudire? Non c'è niente da applaudire. Vi sembro un tipo da applaudire, io? Ecco, quello è un tipo da applaudire. Sì, proprio quel signore in prima fila. Sì, lei, proprio lei, che ha accanto la controfigura di Francis il mulo parlante. E' sua moglie? Merita un doppio applauso, allora. Il primo per la cravatta. Ah, non è la cravatta? Si è vomitato sulla camicia. Va bè, ho sbagliato. Comunque il secondo applauso lo merita per il coraggio. Un uomo che ha sposato un contraccettivo naturale. Siete cattolici, immagino, e presumo la sua signora faccia Ogino-Knaus di cognome. Basta guardarla e passa la voglia. Ah, fate l'amore al buio? Vi ci vedo. Cioè, se siete al buio non vi vedo, ma immagino la scena. Nell'oscurità, cominciano i preliminari quando squilla il telefono. Chi è? E' LUI, il suo povero uccello, che gli ha preso in ostaggio i coglioni e per restituirli vuole cinquantamila euro in banconote di piccolo taglio non segnate, quaranta confezioni di viagra, una vagina di gomma e dieci scatole di profilattici alla fragola. Non ceda al ricatto, mi dia retta. In fondo, di che cosa se ne fa dei coglioni? E senza pipo un uomo che cos'è? Io sono un tipo all'antica, nonostante le apparenze, e a queste cose ci tengo. Sarà perché sono un uomo che si è fatto da solo, fin da ragazzo. Anche tre-quattro volte in giorno, di solito in bagno. Finché una volta mia madre mi ha scoperto in flagranza di reato. Non la prese bene: era una persona severa, austera, che il mestiere di collaudatrice di preservativi aveva reso ancor più rigorosa nelle sua convinzioni morali: "Come sarebbe - sbottò - io mi ammazzo di fatica e tu lo fai gratis? Vergogna!" Fu un trauma. Da allora per anni mi sono masturbato solo se qualcuno era disposto a pagarmi in cambio. Non succedeva mai. Finché non ho scoperto la banca dello sperma. La prima volta entro per curiosare e un'infermiera vestita come Jessica Rabbit mi squadra e poi mi chiede a bruciapelo: "E' qui per una donazione?" No, dico, da quando si va in banca a fare donazioni? Casomai vorrei un prestito: me ne dia un paio di litri. Oppure faccio un deposito. Ma poi lo rivoglio indietro con gli interessi. Ma quella insisteva: "No, guardi, si chiama donazione ma poi ce lo teniamo noi, però le paghiamo un tot, un rimborso spese per il disturbo". [guarda il pubblico a lungo, in silenzio, con un sorriso inebetito]. Disturbo? DISTURBO? Lo chiama disturbo! Ma quale disturbo! Sapete come si dice dalle mie parti? Nessun disturbo se mi masturbo. Dico, se fosse un disturbo ti pare che mi trovavo qua, assieme col mio piccolo Fonzie inguainato in purissima pelle? Andiamo, piccola, vuoi vedere che anche tu hai bisogno di una trasfusione di sperma? No, no, fa lei, si accomodi pure in quella stanza. E premurosa mi chiuse la porta alle spalle. E' andata avanti per un po': io entravo in una stanzetta piccina piccina, che di bello aveva un tavolino pieno di riviste pornografiche, che però non si potevano portare a casa perché sennò, dicevano, si rischiava dello spreco. Per ogni provetta mi davano un bigliettone. Ho dovuto smettere perché stavo diventando cieco. No, sul serio, è tutto vero quello che ti raccontano in confessionale. A masturbarsi troppo ti cresce la gobba, diventi nano, ti viene l'aereofagia, poi i foruncoli, l'alitosi, poi ti cadono tutti i peli del corpo e proprio sul più bello, quando sei praticamente identico a Vittorio Sgarbi, cominci a lasciare diottrie per strada. E allora non trovi più la porta per uscire della stanzina nella banca dello sperma, e per ingannare il tempo continui a fare donazioni su donazioni, finché non riesci più neanche a mettere a fuoco le immagini delle riviste porno, devi rintracciarti il Fonzarello a tentoni, e quando lo trovi non ti ricordi più che a che serve. Mi è successo anche ieri. Ho preso il viagra, poi mi sono scordato il perché. Che tristezza. E poi dicono che anche la fortuna è cieca. Si sarà fatta troppe seghe anche lei. Ora mi avete stufato. Me ne vado. Arrivederci, arrivederci. Forse addio.
Quando l’avvoltoio si sveglia e trova
i parenti appollaiati al capezzale
anche se prima ad altro lui pensava
già comincia a sentirsi un poco male.
Così ogni visita di cortesia
si tramuta in fosco presentimento
specie perché prima di andare via
loro litigano sul suo testamento.
Per un maiale il fidanzamento
spesso somiglia a una lenta tortura,
la gelosia è come un rodimento
per il quale non esiste alcuna cura.
E si rinfocola il suo crepacuore
tutte le volta che un amico cerca
di fare un complimento al suo amore
dicendogli che è proprio una gran porca.
Ognuno ha il suo destino,
un fato che l’attende,
si compie ogni cammino
nell’ombra che confonde
migliaia in batteria
stretti come granelli
di una sola spiaggia
eppure soli siamo
presto la nostra via
si divide e i fratelli
cadranno come pioggia
al suolo. Già il richiamo
dell’Uovo universale,
principio e compimento
d’ogni esistenza, sale
con schiamazzo assordante
dalla gabbia infinita
dove la nostra vita
si consuma a rilento
con un presentimento
d’estremo condimento.
Le luci artificiali
danno un riflesso spento
ormai, crudi fanali
che illuminano a giorno
il tristo capannone
dell’eterno ritorno
alla nostra ragione
d’essere o non essere
noi misere tessere
d’un mosaico scomposto
ingrassate a morte
è scritto il mio finale,
si compia la mia sorte
pietosa la mannaia
arriva e non avverte
rinascerò tacchino
upupa o pettirosso,
e rasperò la ghiaia,
m’infangherò in un fosso
o forse senza uscita
è il cerchio, e pulcino
sarò e poi pollo ancora
nell’arco d’un mattino
è sempre più vicina
l’ora d’esser lesso
in umido o arrosto
per immolarmi in pasto
prima cellophanato,
poi impalato allo spiedo,
addio mio corpo nato
e morto, adesso credo,
per indurre il passaggio
d’un alito vitale
trasmigrato nel raggio
d’un solo desinare.
Può non sembrare vero
ma questo pensò il pollo
con l’ultimo pensiero
mentre porgeva il collo.
Un uovo rotolava
giù dalla discesa,
l’inseguì la chioccia
però mancò la presa,
urtò contro una roccia
e fu uovo sbattuto.
L’urlo del pennuto
risuonò straziante:
“Figlio mio, perché sei morto?”
Però tecnicamente
trattavasi di aborto.
Quando il serpente ha offerto ad Eva
la fatidica mela del peccato
probabilmente lui non intendeva
provocare quel che ha provocato.
Sembra infatti, ma non è comprovato,
che nel compiere quell’atto scellerato
il rettile abbia solo assecondato
il consiglio di un qualche avvocato.
Da quando ha intravisto un lumacone
strisciare tutto nudo nella guazza
la lumaca ha una strana vibrazione,
un brivido che il dorso le carezza.
Se è vero che anche prima la lasciava
ora par più densa la sua scia di bava.
L’infallibile memoria dell’elefante
è ritenuta giustamente proverbiale.
Solo una volta fallì, una su tante,
e gli hanno protestato una cambiale.
Dice il poeta che nessun uomo è un’isola
e la madrepora si macera d’invidia.
Perché per assumere forma insulare
lei si deve pazientemente stratificare
per tanti e poi tanti di quei millenni,
i figli sui padri, e quelli sui nonni
e così via. Chi la famiglia anela
forse è felice, ma la parentela
resta per sempre fin troppo unita
pietrificata per tutta la vita
in mezzo a zii, cognati e una cugina
stretti nella barriera corallina.