lunedì 17 marzo 2008

Il testamento del pollo


Ognuno ha il suo destino,

un fato che l’attende,

si compie ogni cammino

nell’ombra che confonde


migliaia in batteria

stretti come granelli

di una sola spiaggia

eppure soli siamo


presto la nostra via

si divide e i fratelli

cadranno come pioggia

al suolo. Già il richiamo


dell’Uovo universale,

principio e compimento

d’ogni esistenza, sale

con schiamazzo assordante


dalla gabbia infinita

dove la nostra vita

si consuma a rilento

con un presentimento


d’estremo condimento.

Le luci artificiali

danno un riflesso spento

ormai, crudi fanali


che illuminano a giorno

il tristo capannone

dell’eterno ritorno

alla nostra ragione


d’essere o non essere

noi misere tessere

d’un mosaico scomposto

ingrassate a morte


è scritto il mio finale,

si compia la mia sorte

pietosa la mannaia

arriva e non avverte


rinascerò tacchino

upupa o pettirosso,

e rasperò la ghiaia,

m’infangherò in un fosso


o forse senza uscita

è il cerchio, e pulcino

sarò e poi pollo ancora

nell’arco d’un mattino


è sempre più vicina

l’ora d’esser lesso

in umido o arrosto

per immolarmi in pasto


prima cellophanato,

poi impalato allo spiedo,

addio mio corpo nato

e morto, adesso credo,


per indurre il passaggio

d’un alito vitale

trasmigrato nel raggio

d’un solo desinare.


Può non sembrare vero

ma questo pensò il pollo

con l’ultimo pensiero

mentre porgeva il collo.


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