Ognuno ha il suo destino,
un fato che l’attende,
si compie ogni cammino
nell’ombra che confonde
migliaia in batteria
stretti come granelli
di una sola spiaggia
eppure soli siamo
presto la nostra via
si divide e i fratelli
cadranno come pioggia
al suolo. Già il richiamo
dell’Uovo universale,
principio e compimento
d’ogni esistenza, sale
con schiamazzo assordante
dalla gabbia infinita
dove la nostra vita
si consuma a rilento
con un presentimento
d’estremo condimento.
Le luci artificiali
danno un riflesso spento
ormai, crudi fanali
che illuminano a giorno
il tristo capannone
dell’eterno ritorno
alla nostra ragione
d’essere o non essere
noi misere tessere
d’un mosaico scomposto
ingrassate a morte
è scritto il mio finale,
si compia la mia sorte
pietosa la mannaia
arriva e non avverte
rinascerò tacchino
upupa o pettirosso,
e rasperò la ghiaia,
m’infangherò in un fosso
o forse senza uscita
è il cerchio, e pulcino
sarò e poi pollo ancora
nell’arco d’un mattino
è sempre più vicina
l’ora d’esser lesso
in umido o arrosto
per immolarmi in pasto
prima cellophanato,
poi impalato allo spiedo,
addio mio corpo nato
e morto, adesso credo,
per indurre il passaggio
d’un alito vitale
trasmigrato nel raggio
d’un solo desinare.
Può non sembrare vero
ma questo pensò il pollo
con l’ultimo pensiero
mentre porgeva il collo.
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