occorre buona lubrificazione
anche il rapporto va sotto processo.
In un Paese senza più imbarazzi
puoi diventar Ministra in quanto eccelli
nell’arte di ciucciar per bene uccelli
e di capir che son diversi i cazzi:
c’è il cazzo che pesa ma chi non pesa
un cazzo il bocchino se lo sogna,
perché la verità, non sia fraintesa,
è che c'ha l'occhio lungo certa fregna.
In un Paese dove vince il meglio
servono immani doti di bravura
per soppesar gli uccelli senza sbaglio.
Ciucciate orsù, che fama imperitura
andrà a Colei che con fare austero
ciuccia il cazzo che vale un Ministero.
Avvicinati a una buca di talpa
e origlia senza alcun senso di colpa
il rimbombo ovattato d’una orchestra.
Nell’atmosfera nera come inchiostro
di quella labirintica galleria
le talpe si stipano nel più oscuro
anfratto, dimentiche della miopia,
soltanto lì si sentono al sicuro
e ballano la rumba in lunghe file,
duellano a chi fa il verso più scurrile
e confondendo il giorno e la nottata
s’abbandonano all’orgia più sfrenata.
Topo topo roditore
rodi il legno rodi il fiore
rodi il cuoio ed il cartone
i canditi ed il torrone
rodi case e anche persone
rodi dentro alle poltrone
i cassetti ed i divani
rodi le ali agli aeroplani
rodi le unghie delle mani
e anche mentre stai dormendo
rodi rodi nel profondo.
Topo topo roditore
rodi quello che ti pare
rodi i peli ed il cotone
rodi briciole di pane
rodi code di ramarro
i biscotti e il fildiferro
rodi le ossa e rodi i denti
rodi le statue dei santi
trasportati in processione
rodi il tempo della gente
in ritardo verso il niente
e rodendo e rirodendo
tu consumi tutto il mondo.
Topo topo roditore
rodi tutto e rodi niente
rodi rodi intimamente
con un rodimento muto
il pensiero d’un amore
già vissuto, già perduto
rosicchiandolo per ore
topo topo roditore.
Da sempre secondo antica tradizione
risale la corrente il salmone
dopo un'interminabile migrazione
per raggiungere la destinazione
d’un fugace e promiscuo accoppiamento.
Nel viaggio non c'è divertimento
ma infortuni, paura e sfinimento:
se non si muore, si sopravvive a stento.
Giunto sul posto, ormai senza fiato
un salmone venne interrogato
sul perché di questo arduo cimento
che richiede un lungo apprendistato
da una generazione all’altra tramandato
ma che sarebbe facilmente evitato
con una domestica riproduzione.
"Già, perché?" Non c'aveva mai pensato,
è solo che così era sempre stato
però lo stesso si sentì truffato,
distratto dal pensiero e assai irritato
scordò la copula e finì pescato.
Mai scoprì chi l'aveva fatto fesso
neppure vide chi lo fece lesso.
ebbe a spezzarsi una chela,
la riattaccò col mastice
ma dovette subire una sequela
di commenti di crostacei altezzosi
che con la loro aria un po’ snobistica
lo schernirono sussiegosi:
“Ah, così ti sei fatto la plastica…”
Il bisonte da sempre scorrazzava
nella grande prateria
finché un giorno scorse del fumo.
Era la ferrovia.
Il bisonte squadrò il treno
che era un punto all’orizzonte,
poi quando rialzò lo sguardo
aveva un fucile in fronte.
Il bisonte colse in quell’istante
il principio di relatività:
per quanto sembri immobile
lo spazio-tempo è in movimento
e la tua effettiva velocità
non dipende da quanto corri
ma dal sistema di riferimento.
L'attimo dopo era quasi estinto.
chi la precede, senza guardare a niente
che non sia l’appendice posteriore
del suo immediato predecessore.
In tutta quella cieca processione
il capofila è Duce e conduttore
che guida gli altri al pari di se stesso.
Potrà dunque accadere, anzi è già successo
che le processionarie, seguendo esso,
si ritrovino a milioni dentro a un cesso.
Dopo aver serenamente passato
l’intera sua vita inosservato
un brutto giorno, mentre è lì che nuota,
d'un tratto si scopre pesce pilota.
Non è affatto chiaro chi l’abbia scelto
ma di sicuro non è stato eletto,
però in questo modo è stato colto
di sorpresa, e così l'han costretto.
In migliaia ne spiano ogni mossa,
svolta, deviazione o scostamento
e ovunque si giri c’è riflessa
copia del suo attuale movimento.
In questo modo ogni suo intendimento
subito si fa azione collettiva,
se per caso rilascia un escremento
l’onda nera giunge fino a riva.
Se ormai convive con il suo potere
una cosa ne acutizza il dispiacere:
è che appartandosi con la fidanzata
l’incontro si trasformi in ammucchiata.
E’ un incoercibile moto interiore
che subito avvolge d’un umore scuro
tutto attorno a sé, d’improvviso scoppia
con un repentino sussulto al cuore
che di nero inchiostra l’acqua del mare.
Accade quando la ritrosa seppia
per caso incrocia il suo segreto amore
oppure un creditore.
No, nessun essere vivente osa
cingere intimamente come la piovra
che s’avvinghia trepida al suo amore
bocca su bocca, ventosa su ventosa,
con un ardore che non si può placare
per un amplesso multitentacolare
in una stretta che sembra non cessare
con una foga che dà di che pensare
che in effetti non si sanno più staccare…
La formica lavora
per tutto quanto il giorno
e quando arriva sera
ancor non fa ritorno.
Trasporta enormi pesi
e non si lagna mai,
fatica mesi e mesi
nutrendo formicai.
Avanza in lunga fila
e di chi la precede
conosce solo il culo
e quello che produce.
La fila la conduce
e lei la lascia fare,
nel camminare tace
perché non sa parlare.
Tutto il suo sfacchinare
va a onor della regina,
il giorno ha da passare:
la notte è più vicina.
La formica magari
non ha un grand’intelletto,
ma il tempo per pensare
certo non le fa difetto.
Sarà pure paziente,
ma nel lavorio costante,
nell’antenna vibrante
un assillo è evidente.
Mai un moto di stizza
com’è della sua razza,
però appena realizza
vedrai come s’incazza.
Ricordi quando nei boschi del Missouri
cantavamo a squarciagola 'Ciuri ciuri'
finché un orso molestato nel letargo
ci inseguì a lungo - e tu urlavi AAARGH!?
E quella volta alle cascate del Niagara
quanta gente c'era, e io ti pregavo "Cara,
non spingere per favore che mi sento
in bilico sulla ringhiera" - ma tu hai spinto?
E quel giorno sul Gran Canyon in picchiata
dentro quell'aereo col pilota addormentato
perché premurosa per lenire la sua gola secca
gli offristi sonnifero sbagliando la pasticca?
Ah, mia cara, quanti ricordi abbiamo
quante avventure, e mi pare strano
a ripensarci, che siano inventate.
Eppure è così, e queste rime baciate
non cantano d'un banale passato
ma di quel che avrebbe potuto esser, e non è stato
[il comico viene annunciato, ma non entra in scena nonostante l'applauso prolungato, che lentamente si smorza. Passano alcuni secondi, in un silenzio imbarazzato. A questo punto il comico appare barcollante e curvo su se stresso; l'applauso timidamente riprende, ma lui lo zittisce con gesti scomposti]
Cosa avete da applaudire? Non c'è niente da applaudire. Vi sembro un tipo da applaudire, io? Ecco, quello è un tipo da applaudire. Sì, proprio quel signore in prima fila. Sì, lei, proprio lei, che ha accanto la controfigura di Francis il mulo parlante. E' sua moglie? Merita un doppio applauso, allora. Il primo per la cravatta. Ah, non è la cravatta? Si è vomitato sulla camicia. Va bè, ho sbagliato. Comunque il secondo applauso lo merita per il coraggio. Un uomo che ha sposato un contraccettivo naturale. Siete cattolici, immagino, e presumo la sua signora faccia Ogino-Knaus di cognome. Basta guardarla e passa la voglia. Ah, fate l'amore al buio? Vi ci vedo. Cioè, se siete al buio non vi vedo, ma immagino la scena. Nell'oscurità, cominciano i preliminari quando squilla il telefono. Chi è? E' LUI, il suo povero uccello, che gli ha preso in ostaggio i coglioni e per restituirli vuole cinquantamila euro in banconote di piccolo taglio non segnate, quaranta confezioni di viagra, una vagina di gomma e dieci scatole di profilattici alla fragola. Non ceda al ricatto, mi dia retta. In fondo, di che cosa se ne fa dei coglioni? E senza pipo un uomo che cos'è? Io sono un tipo all'antica, nonostante le apparenze, e a queste cose ci tengo. Sarà perché sono un uomo che si è fatto da solo, fin da ragazzo. Anche tre-quattro volte in giorno, di solito in bagno. Finché una volta mia madre mi ha scoperto in flagranza di reato. Non la prese bene: era una persona severa, austera, che il mestiere di collaudatrice di preservativi aveva reso ancor più rigorosa nelle sua convinzioni morali: "Come sarebbe - sbottò - io mi ammazzo di fatica e tu lo fai gratis? Vergogna!" Fu un trauma. Da allora per anni mi sono masturbato solo se qualcuno era disposto a pagarmi in cambio. Non succedeva mai. Finché non ho scoperto la banca dello sperma. La prima volta entro per curiosare e un'infermiera vestita come Jessica Rabbit mi squadra e poi mi chiede a bruciapelo: "E' qui per una donazione?" No, dico, da quando si va in banca a fare donazioni? Casomai vorrei un prestito: me ne dia un paio di litri. Oppure faccio un deposito. Ma poi lo rivoglio indietro con gli interessi. Ma quella insisteva: "No, guardi, si chiama donazione ma poi ce lo teniamo noi, però le paghiamo un tot, un rimborso spese per il disturbo". [guarda il pubblico a lungo, in silenzio, con un sorriso inebetito]. Disturbo? DISTURBO? Lo chiama disturbo! Ma quale disturbo! Sapete come si dice dalle mie parti? Nessun disturbo se mi masturbo. Dico, se fosse un disturbo ti pare che mi trovavo qua, assieme col mio piccolo Fonzie inguainato in purissima pelle? Andiamo, piccola, vuoi vedere che anche tu hai bisogno di una trasfusione di sperma? No, no, fa lei, si accomodi pure in quella stanza. E premurosa mi chiuse la porta alle spalle. E' andata avanti per un po': io entravo in una stanzetta piccina piccina, che di bello aveva un tavolino pieno di riviste pornografiche, che però non si potevano portare a casa perché sennò, dicevano, si rischiava dello spreco. Per ogni provetta mi davano un bigliettone. Ho dovuto smettere perché stavo diventando cieco. No, sul serio, è tutto vero quello che ti raccontano in confessionale. A masturbarsi troppo ti cresce la gobba, diventi nano, ti viene l'aereofagia, poi i foruncoli, l'alitosi, poi ti cadono tutti i peli del corpo e proprio sul più bello, quando sei praticamente identico a Vittorio Sgarbi, cominci a lasciare diottrie per strada. E allora non trovi più la porta per uscire della stanzina nella banca dello sperma, e per ingannare il tempo continui a fare donazioni su donazioni, finché non riesci più neanche a mettere a fuoco le immagini delle riviste porno, devi rintracciarti il Fonzarello a tentoni, e quando lo trovi non ti ricordi più che a che serve. Mi è successo anche ieri. Ho preso il viagra, poi mi sono scordato il perché. Che tristezza. E poi dicono che anche la fortuna è cieca. Si sarà fatta troppe seghe anche lei. Ora mi avete stufato. Me ne vado. Arrivederci, arrivederci. Forse addio.
Quando l’avvoltoio si sveglia e trova
i parenti appollaiati al capezzale
anche se prima ad altro lui pensava
già comincia a sentirsi un poco male.
Così ogni visita di cortesia
si tramuta in fosco presentimento
specie perché prima di andare via
loro litigano sul suo testamento.
Per un maiale il fidanzamento
spesso somiglia a una lenta tortura,
la gelosia è come un rodimento
per il quale non esiste alcuna cura.
E si rinfocola il suo crepacuore
tutte le volta che un amico cerca
di fare un complimento al suo amore
dicendogli che è proprio una gran porca.
Ognuno ha il suo destino,
un fato che l’attende,
si compie ogni cammino
nell’ombra che confonde
migliaia in batteria
stretti come granelli
di una sola spiaggia
eppure soli siamo
presto la nostra via
si divide e i fratelli
cadranno come pioggia
al suolo. Già il richiamo
dell’Uovo universale,
principio e compimento
d’ogni esistenza, sale
con schiamazzo assordante
dalla gabbia infinita
dove la nostra vita
si consuma a rilento
con un presentimento
d’estremo condimento.
Le luci artificiali
danno un riflesso spento
ormai, crudi fanali
che illuminano a giorno
il tristo capannone
dell’eterno ritorno
alla nostra ragione
d’essere o non essere
noi misere tessere
d’un mosaico scomposto
ingrassate a morte
è scritto il mio finale,
si compia la mia sorte
pietosa la mannaia
arriva e non avverte
rinascerò tacchino
upupa o pettirosso,
e rasperò la ghiaia,
m’infangherò in un fosso
o forse senza uscita
è il cerchio, e pulcino
sarò e poi pollo ancora
nell’arco d’un mattino
è sempre più vicina
l’ora d’esser lesso
in umido o arrosto
per immolarmi in pasto
prima cellophanato,
poi impalato allo spiedo,
addio mio corpo nato
e morto, adesso credo,
per indurre il passaggio
d’un alito vitale
trasmigrato nel raggio
d’un solo desinare.
Può non sembrare vero
ma questo pensò il pollo
con l’ultimo pensiero
mentre porgeva il collo.
Un uovo rotolava
giù dalla discesa,
l’inseguì la chioccia
però mancò la presa,
urtò contro una roccia
e fu uovo sbattuto.
L’urlo del pennuto
risuonò straziante:
“Figlio mio, perché sei morto?”
Però tecnicamente
trattavasi di aborto.
Quando il serpente ha offerto ad Eva
la fatidica mela del peccato
probabilmente lui non intendeva
provocare quel che ha provocato.
Sembra infatti, ma non è comprovato,
che nel compiere quell’atto scellerato
il rettile abbia solo assecondato
il consiglio di un qualche avvocato.
Da quando ha intravisto un lumacone
strisciare tutto nudo nella guazza
la lumaca ha una strana vibrazione,
un brivido che il dorso le carezza.
Se è vero che anche prima la lasciava
ora par più densa la sua scia di bava.
L’infallibile memoria dell’elefante
è ritenuta giustamente proverbiale.
Solo una volta fallì, una su tante,
e gli hanno protestato una cambiale.
Dice il poeta che nessun uomo è un’isola
e la madrepora si macera d’invidia.
Perché per assumere forma insulare
lei si deve pazientemente stratificare
per tanti e poi tanti di quei millenni,
i figli sui padri, e quelli sui nonni
e così via. Chi la famiglia anela
forse è felice, ma la parentela
resta per sempre fin troppo unita
pietrificata per tutta la vita
in mezzo a zii, cognati e una cugina
stretti nella barriera corallina.
L’unica occasione
di socializzazione
la vongola la trova in casseruola
finalmente in compagnia, e non più sola,
sebbene in verità, così soffritta,
ciascuna pensi a sé, restando zitta.
Altrimenti posa nella sabbia spessa
e lì si chiude sempre più in se stessa.
Nota di Bulgakov in margine al silenzio delle vongole
Inquietudine di un mitile
Che fortunato che è stò mollusco
malgrado il suo carattere brusco!
Sebbene la vongola stia rinchiusa
in una conchiglia, dal mondo delusa,
se un giorno particolare,
decide di socializzare,
trova sempre qualcuno che se la scarrozza,
mentre nessuno, ahimè, si fila la cozza!
Quegli uomini portavano un distintivo luccicante
che spesso esibivano al posto delle loro facce
all'inizio sembrava non significare niente
simile all'iscrizione al club delle bocce.
Lo esibivano all'occhiello nelle loro televisioni
come una stella sul cuore sberluccicava in diretta
e si commuovevano davvero i molti coglioni
che ne avevano acquistato similcopia con la loro paghetta.
Accompagnarsi con pornostar era poi di rigore
e in alternativa c'era sempre l'attricetta fallita.
Le prime ricambiavano simulando nell'amore,
le altre, poverelle, s'immolavano per tutta la vita.
Conquistarono il paese di domenica, se non erro,
e fu un giorno memorabile anche per chi non c'era:
chi non ricorda i gioiosi boati delle mine anticarro,
i festoni dei reticolati, il Presentatore severo
che condusse dal vivo l'interminabile trasmissione
con i commenti a caldo dei risultati elettorali
concedendo alla neonata e già morta opposizione
l'onore d'una delle sue celebri intemperanze verbali.
E cominciarono presto le purghe a base di glicerina,
che chiunque abbia subito di certo non scorda
perché non erano gli oppositori a prendere la medicina
ma i vincenti, che li inondavano poi della loro merda.
Quello di nemico del resto è un concetto relativo
poiché lo si applica soltanto a chi è ancora vivo,
però in definitiva l'esistere, in queste evenienze,
è essenzialmente una questione di audience.
Dicono che il potere corrompe, ma non è il loro caso:
loro erano già corrotti, e se si soffiavano il naso
era per indicare che la mazzetta sembrava carente:
pare che un fazzoletto di seta fosse il loro contante.
Per esistere ai loro occhi c'era infatti da pagare un prezzo
comodamente rateizzabile nell'arco dell'intera esistenza
ma erano così generosi che quelli privi di ogni mezzo
potevano saldare il conto con la propria coscienza.
Tutti sovrastava l'effige del Grande Padrone Sorridente,
che tutti benevoleva ed era sempre presente
per consolarti ad ogni ora del giorno e della notte
come uno che ti vuol tanto bene, e per questo ti fotte.
Lui voleva bene anche a prozie suore, a mammetta e cugine,
alle amanti a dozzine, mogli, figlie, nuore e nipotine,
ma le sue non gli bastavano, e volle quelle altrui in affitto,
dimostrando che dai soldi può fiorire vero affetto.
Con le domestiche e i servitori ospiti nelle sue ville coloniali
era così democratico che a Natale accettava i loro regali,
però era lui che li sceglieva e pagava non badando alla spesa,
tutto potendo comprare, anche la propria sorpresa.
Il Grande Padrone era abile persino nell'arte della barzelletta,
abbronzato come un lupo di mare perennemente in vedetta.
Gli altri lupi del branco erano un po' meno ricchi, spiritosi e colorati:
proprio per questo lui li aveva nutriti, accoppiati e selezionati.
Dicono che tra di loro scherzassero come in una caserma
e di certo la caserma era per loro un vero modello:
ciascun sottoposto ebbe l’obbligo di restare in forma
correndo dietro al Padrone e praticando libertà d’uccello.
Libertà da tutto e da tutti era in effetti il loro motto
che applicavano persino negli infimi particolari:
praticavano libertà d'intestino così come di rutto
e predicavano a favore di molte libertà grammaticali.
E nel paese ciascuno divenne libero come mai prima:
persino il barbiere ebbe completa libertà di schiuma
ma a chi dissentiva si riconobbe piena libertà di parola
nel senso che poteva pronunciarne una, e una sola.
Per un provvedimento del Ministero dell'Oblio
a una sola libertà si dovette però rinunciare:
quella di ricordare il passato e di bestemmiare Dio
(si poteva con la Madonna, ma senza esagerare).
E alla fine per tutti fu obbligatorio portare un distintivo,
che dava diritto a sconti su diversi tipi di detersivo,
ma per alcuni era diverso, di un'altra forma e colore:
come un codice a barre, indicava il tuo valore.