Ernesto Ragazzoni. Elegia del verme solitario
Vive il verme solitario
segregato suo malgrado
dentro un cupo reliquiario
dove s’installò di frodo
in quel cieco isolamento
non comprende il suo destino
non sa che il suo firmamento
è una curva d’intestino
delle tinte della vita
non ha alcuna cognizione
tutto sembra una colata
tanti toni di marrone
la natura l’ha recluso
in quell’antro ignominioso
perlomeno volle il caso
gli fu risparmiato un naso
se di sé avesse coscienza
si saprebbe imprigionato
sentirebbe un'impellenza
fuggirebbe a perdifiato
a cercarsi una compagna
amicizie o vicinanza
assaggiare una lasagna
odorare una fragranza
a tuffarsi e poi nuotare
con movenze serpentine
e incocciare in un amore
per patirne poi la fine
ma quel suo trasognamento
non incontra via d’uscita
ogni senso di scontento
pari a lui è parassita
così il verme solitario
non ha fede in alcun varco
nel suo tempo carcerario
tutto scorre, però è sterco
chissà se dal suo sprofondo
sortirà, come rinato
morirà vedendo il mondo
saprà d’essere cacato.